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    Ricordo di Marco Rendeli

    rendeli

    Marco Rendeli è stato docente presso l’Università della Campania, allora Seconda Università degli Studi di Napoli, dal 1995 al 2005. Stamattina, in silenzio, se ne è andato, a Sassari, dove insegnava.

    Lo voglio ricordare qui soprattutto a me stesso, per allontanare tristezza e sgomento, ma anche per raccontare ai nostri studenti che il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali prima che di cemento, aule e laboratori è fatto di maestri, allievi, dibattiti accesi, storie di amicizie e conoscenze simili a quelle che ciascuno di noi sperimenta quando incontra un collega o un amico e con lui condivide speranze, ideali e intelligenza per esplorare insieme quella piccola porzione di tempo e mondo che ci è stata messa a disposizione.

    Con Marco ho condiviso il difficile passaggio dalle aule universitarie, in cui fui studente, a un mondo vero, fatto di cantieri, istituti di ricerca, musei e amici che si trasformavano in colleghi. Da via Porta di Massa, la sede della Facoltà napoletana, la conoscenza di un maestro, Mauro Cristofani, mi portò a Roma dove conobbi Marco, suo giovane allievo, e con lui il gruppo di archeologi che con il professore aveva costruito la mostra ‘La Grande Roma dei Tarquini’: spazio di incontro era per noi una severa villetta in cui aveva sede il vecchio istituto di Archeologia etrusco italica del CNR. Da lì, giovane educato alle serie materiali della Magna Grecia, iniziai i miei giri per depositi e aree archeologiche d’Etruria, scavando e classificando reperti a Caere, nella necropoli dei tumuli monumentali.

    Il vecchio piccolo spazio di formazione napoletana si ampliava e tramite i nuovi maestri io e il gruppo di allievi napoletani, di cui ero parte e di cui furono parte Laura, Vincenzo, Rita, Nicoletta, Daniela, ancora oggi amici carissimi, entravamo in contatto con la tradizione di Ranuccio Bianchi Bandinelli e Massimo Pallottino, frequentando i luoghi romani che furono di Umberto Zanotti Bianco e del suo Mezzogiorno. Marco organizzò per noi dottorandi un ciclo di conferenze proprio a Palazzo Taverna, luogo bellissimo nel cuore di Roma, sede della Società Magna Grecia, uno spazio in cui eravamo chiamati a presentare e discutere i risultati delle nostre ricerche in corso. Ho imparato a conoscere Marco a partire da lì, dalle sale storiche della ricerca romana che richiedevano e imponevano rispetto.

    Ci ritrovammo poi anni dopo, con qualche esperienza e delusione in più, ma anche pieni di nuove speranze, a Santa Maria Capua Vetere, scelti per lavorare in una nuova Facoltà universitaria, e a Marco si aggiunsero Alessandra, Gabriella e infine Andrea ed Elena, tutti ricercatori di una Facoltà in formazione. Qui abbiamo condiviso la voglia di costruire e cercato gli ideali in cui credere, formato il nostro galateo accademico nel continuo confronto con giovani studenti dai quali, e credo che anche lui concorderebbe con questa mia affermazione, abbiamo soprattutto appreso.

    Ci siamo poi persi di vista, allontanati, ritrovati su posizioni diverse, in gruppi non sempre convergenti ma non abbiamo mai dimenticato di rispettarci, come dovrebbe sempre essere in un mondo nutrito di scienza.

    La notizia della sua morte mi ha raggiunto improvvisa, comunicata da una delle sue amiche sammaritane più care, Maria Luisa Chirico, un segnale per avvisarmi che un periodo della mia vita che immaginavo in continuità con il presente si era ormai concluso.

    Di Marco si conserva e conserverà nel nostro Dipartimento quanto ha costruito e condiviso con noi, lo ritroveremo sempre nei nostri primi allievi, nella loro sicurezza di oggi che fu già la sua e nel suo scientifico disincanto. Per me mai si concluderanno le discussioni avviate con lui intorno agli aristocratici di Cuma e di Capua, ai vasi di bronzo con le sirene sul coperchio, mai si concluderà la progettazione di una mostra da dedicare agli eroi campani che il nostro maestro voleva realizzassimo e che non abbiamo ancora costruito. Ma non fa niente: le cose più belle sono quelle promesse, alimentano le nostre passioni e le nostre speranze e non muoiono mai, come Marco nel nostro ricordo.   

    Carlo Rescigno

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